Cambia la traduzione del Padre Nostro, perché non è fedele alla traduzione greca.
Nella preghiera, la frase “non indurci in tentazione“ verrà sostituita con una nuova traduzione ritenuta più idonea: “non abbandonarci alla tentazione”, ritenuta più fedele al significato dell’originale in greco. Dopo una lunga discussione l’Assemblea generale della CEI ha approvato la modifica della traduzione. L’uso liturgico verrà introdotto dal 29 novembre prossimo.
Il problema nasce per l’appunto dalla traduzione dal greco della parola eisenènkes, dal verbo eisféro, che per secoli è stato tradotto con il latino inducere, da cui l’indurre in italiano che per noi ha significato di “spingere a”. Questa traduzione a cui siamo da sempre stati abituati risulta essere errata, o meglio, poco fedele al significato della preghiera stessa, perché come spiegato da Papa Francesco: “Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo.” Quindi Dio, secondo questa interpretazione, è un Dio salvifico che non ci spinge verso il male e non ci tende delle trappole. Il cambiamento risulta dunque necessario per “pregare in maniera ancora più consapevole e vicina a quelle che sono state le intenzioni di Gesù”, come ci spiega Monsignor Forte.
Ma facciamo qualche passo indietro… Sapete qual è l’origine della traduzione non proprio esatta? La versione latina della Bibbia tradotta da San Girolamo, che per molto tempo è stata usata come base per molte delle successive traduzioni.
San Girolamo e gli errori di traduzione.
San Girolamo fu un biblista, traduttore, teologo e monaco cristiano romano e fu il primo a tradurre la Bibbia in latino, nella versione conosciuta da tutti come Vulgata.
Un lavoro che durò parecchi anni, commissionato nel 383 da Papa Damaso I , il quale desiderava una traduzione più accurata e senza fronzoli. La Vulgata deve il suo nome alla dicitura latina “vulgata editio” che significa “edizione per il popolo”. Facile da leggere, alla portata di tutti e in uno stile non raffinato.
San Girolamo per il suo lavoro di traduzione è considerato il santo patrono dei traduttori. Un uomo di grande conoscenza, ma di certo non infallibile. L’errore di traduzione del versetto del Padre Nostro non è l’unica svista.
Vi siete mai chiesti perché il Mosè viene riprodotto da diversi artisti con un paio di corna?
Prendiamo ad esempio il Mosè più celebre, quello di Michelangelo, opera custodita a Roma nella Basilica di San Pietro in Vincoli.
Si tratta di un’opera in marmo commissionata a Buonarroti nel 1513 da Papa Giulio II per ornare il complesso funerario concepito quale Tomba di Giulio II. Certo non passano inosservate le due piccole corna sul capo. Perché mai Mosè avrebbe dovuto avere un paio di corna?
Probabilmente si tratta di un errore di traduzione sempre del nostro San Girolamo. Nel tradurre dall’ebraico al latino aveva scritto che Mosè, dopo aver ricevuto le tavole della Legge sul monte Sinai, ne ridiscese cornuta facie. Errore di traduzione dovuto al fatto che la radice ebraica “km” può essere vocalizzata in due forme: “karan” che significa raggi e “keren” che significa corna . Ed ecco che quindi Mosè appare al suo popolo con un paio di corna invece che due raggi di luce in fronte.
Questo errore è stato tramandato per secoli andando a orientare la rappresentazione del Mosè in arte come nel caso di Michelangelo, che evidentemente per rappresentare la sua opera prese ispirazione dalla Vulgata in latino. Questo aneddoto curioso ci porta a riflettere sul mestiere del traduttore. Ogni testo, ogni parola richiedono studio e attenzione e talvolta non è sempre facile districarsi nell’intricato mondo della traduzione. Quello del traduttore è un lavoro complesso di inestimabile importanza e valore, che non si limita a trasporre parole da un codice a un altro, ma diventa un tramite per mondi e culture differenti.